Uomo del mio tempo — Salvatore Quasimodo

…Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

Uomo del mio tempo

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

{Salvatore Quasimodo — Uomo del mio tempo — dalla raccolta ‘Giorno dopo giorno (1947)}

Commento:

In questa poesia Salvatore Quasimodo, sconvolto dagli orrori della seconda guerra mondiale, affronta il tema della guerra partendo dalla considerazione che l’uomo del suo tempo, l’uomo a lui contemporaneo, non è poi molto diverso dagli uomini dell’età della pietra, quei primitivi che cacciavano con la pietra e con la fionda.
Anche se sono passati milioni di anni, nonostante la modernità, la civiltà, il progresso, qualcosa di quei primitivi sopravvive nel cuore dell’uomo, anche ora, quando si mette a combattere, a fare la guerra, ad uccidere i suoi simili.
Di generazione in generazione, il progresso e la tecnica rendono le armi più sofisticate, ma la sete di sangue non si placa mai. Così di padre in figlio si ripete quel gesto che rende l’uomo simile ad un animale feroce. ‘Ti ho visto, eri tu‘: il poeta riconosce quel gesto, una specie di ‘segno distintivo’ che, anche se il tempo passa, è sempre lì ad identificarci nella nostra violenza. ‘Hai ucciso ancora, come sempre‘. Pare impossibile, eppure è così.
Il sangue che scorre è ancora quello di Caino e Abele, quando Caino disse ‘andiamo nei campi’ e lì uccise suo fratello.
Il poeta conclude la poesia rivolgendosi ai giovani, come in una specie di appello: li chiama ‘figli’, e dice loro di dimenticare la morte dei padri, il loro sangue che pare ancora esalare dalla terra; perché sono ormai sepolti, e sono cenere. Ai giovani affida la speranza di un mondo libero dal sangue, dalla guerra e dalla violenza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *